Il Peposo dei Fornacini dell’Impruneta: una pietanza legata a Brunelleschi

(di Franco Favero)

Siamo nei primi decenni del '400 e, a Firenze, fervono i lavori per la costruzione della cupola ottagonale del Duomo. I lavori sono diretti proprio da chi si è aggiudicato, con il suo progetto, l'onore della costruzione, Filippo Brunelleschi. Il grande artista, nella sua posizione di direttore dei lavori, fa costruire nelle vicinanze del cantiere, in zona Impruneta, una fornace al fine di assicurare la produzione, con continuità, dei laterizi necessari all'innalzamento della cupola.
Brunelleschi, inoltre, deve provvedere anche al vitto delle maestranze che duramente stanno lavorando al cantiere: proviamo ad immaginarci il via vai di carri, trainati da cavalli o da buoi, che arrivano carichi di mattoni, il rumore delle ruote in legno sull'acciottolato, le file di lavoranti che si caricano sulle spalle ceste pesantissime di mattoni e le portano in alto, alla sommità del cantiere, arrancando per scale insicure e armature grezze... Le energie necessarie sono tantissime, schianterebbero anche un toro, non si può rischiare di rallentare i lavori perchè gli operai non ce la fanno più!

Ecco che, allora, il Brunelleschi ordina di provvedere al vitto delle maestranze in modo che sia il più economico possibile, ma al tempo stesso molto nutriente: nella fornace di cottura dei laterizi, che tra una cotta e l'altra viene spenta e lentamente si raffredda, fa mettere dei grandi cocci, grandi pentole in terracotta. Qui i cucinieri pongono il muscolo del manzo, il taglio più povero e fibroso, tagliato a tocchetti, lo cospargono di Pepolino (il Timo, ovvero il "pepe dei poveri", che si trova anche lungo le strade nella campagna circostante), e lo coprono con l'Acquerello (il vino anche qui della povera gente, che consiste nell'ultima torchiatura dell'uva fatta rifermentare con l'acqua): i costi devono essere sotto controllo, non si può largheggiare!
In questi grandi cocci vengono anche messe le teste dei bovini con le guance e quanto resta attaccato e non altrimenti utilizzabile. 

Nelle tre/quattro ore di cottura la carne assorbierà l'acquerello e l'aroma del Pepolino e il collagene delle guance, che in cottura si scioglie, donerà cremosità a una pietanza saporita ed energetica che verrà servita, ad ogni operaio, in una mezza pagnotta: Pane e Companatico!
Così nasce il "Peposo dei Fornacini dell'Impruneta", uno dei piatti più carichi di storia della cucina risorgimentale. La "Cucina Nobiliare" lo raffinerà utilizzando, oltre al Pepolino, Pepe in grani trattenuto da una garza, in modo che questo, non spezzandosi, non renderà piccante la pietanza, ma le donerà solo il suo aroma, e sostituirà il Chianti all'Acquerello.
(attenzione: non c'è pomodoro, perché... l'America non era ancora stata scoperta! Diffidate quindi di chi vi dovesse proporre un Peposo piccante e rosso di pomodoro, non è originale!).

Il Peposo è un piatto che adoro, ne ho servito tantissimo quando ero l'Oste del Per Bacco a Padova, anche perché la sua bontà è arricchita dalla storia e dalla cultura che fanno da sfondo a questa Umile, Generosa, Geniale Pietanza!
E adesso, con davanti un fumante piatto di Peposo, una pagnottella, magari aromatizzata al Timo, per fare abbondante "scarpetta", stappiamoci una bella bottiglia di Chianti Classico, versiamocene un bel calice e, lentamente (e quando potremo, condividendolo!), godiamoci questo pasto della Firenze del '400!

Prosit!


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