ERUV, LA RECINZIONE RITUALE DEGLI EBREI

di Cadigia Hassan

La miniserie televisiva Unorthodox (su Netflix dallo scorso 26 marzo), creata da Anna Winger e Alexa Karolinski e ispirata al romanzo autobiografico di Deborah Feldman, inizia con la lunga ripresa di un filo che pende da un palo dell’elettricità a Williamsburg, un quartiere di Brooklyn. La protagonista Esty raccoglie in un sacchetto le poche cose che le servono per fuggire da una comunità claustrofobica (quella degli chassidici ortodossi) e si avvia verso l’uscita del palazzo. Qui però viene bloccata da una vicina: non può uscire con quel sacchetto perché l’eruv si è rotto a causa del forte vento e non verrà riparato in giornata in quanto shabbat, sabato. Etsy risale allora in casa, infila ciò a cui non può rinunciare all’interno dei collant e si avvia fuori, verso la V.

Eruv a Manhattan - Foto Matt Green / Flick

Per chi non ha familiarità con la religione ebraica, queste poche sequenze possono sembrare incomprensibili. Cos’è quel filo? A quale funzione assolve?
Partiamo dall’oggetto per poi arrivare al rituale. Quel filo sottile, quasi trasparente, si chiama “eruv” (“eruvin” al plurale”), che in ebraico significa “mescolanza” e viene associato al termine “chatzerot”, ovvero “dominio”. La legge ebraica, basandosi sulle norme bibliche, impone il divieto di compiere 39 azioni, chiamate “melachot”, durante lo shabbat (il giorno del riposo) e lo Yom Kippur (il giorno della Penitenza); tra queste azioni risulta anche il trasferimento di oggetti (che siano chiavi, bastoni, medicinali, spesa, ma anche il trasporto di passeggini e bimbi piccoli) da luoghi privati (“Reshuth Ha-Jachid”) a luoghi pubblici (“Reshuth Ha-Rabbim”).

Particolare dell'eruv sulla 6th Avenue a Manhattan - Foto di Riccardo Bevilacqua

Per rendere più pratica la vita quotidiana, ecco allora che l’eruv si pone come una recinzione rituale, una “mescolanza di domini”, che estende il proprio domicilio privato agli spazi pubblici, consentendo il libero movimento delle persone e delle cose all’interno di una sorta di “domicilio comune”. Tale recinzione rituale può essere costituita da mura cittadine o da un cavo teso sui pali dell’elettricità, come quello che si snoda per una trentina di chilometri a Manhattan, perimetrando quasi tutta l’isola.
Come tutti gli eruvin, anche l’eruv del borough newyorchese deve sottostare a specifiche norme kosher (spessore del cavo massimo 5 millimetri, altezza da terra di almeno 4,5 m, teso in linea retta e senza interruzioni) e a settimanali ispezioni da parte di due rabbini per accertarne l’integrità, con un costo di manutenzione annuo che si aggira tra i 125/150mila dollari, raccolti tra le varie sinagoghe ortodosse.

La mappa dell'eruv che si snoda per una trentina di chilometri attorno al perimetro di Manhattan

Ora che siamo entrati in confidenza con l’eruv, possiamo allenare lo sguardo nei nostri prossimi viaggi attorno al mondo, alla ricerca di questa importante recinzione simbolico-religiosa. In Italia, nell’aprile 2016, in occasione del 500mo anniversario del Ghetto, una convenzione tra il Comune di Venezia e la comunità ebraica locale ha decretato eruv l’intera città di Venezia, ad esclusione di Sant’Elena e Giudecca.

Ebrei al Ghetto di Venezia

Per approfondimenti:
- Rabb Yosef Gavriel Bechhofer, “The Contemporary Eruv; Eruvin in Modern Metropolitan Areas”, Feldheim, 1998
- Eryb Green, “Eruv”, Yale Univ Pr; New., 2014
- Daniele Garrone, “Ebraismo. Guida per non ebrei”, Ed, Claudiana, 2019.

Per controllare lo stato online dell’eruv di Manhattan: https://twitter.com/manhattaneruv

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