RITUALITA’ E TERRORE DELLA GULE WAMKULU

di Cadigia Hassan

Ci sono film che con poche inquadrature hanno il potere di socializzare a culture lontane nel tempo e nello spazio, rivelandoci in pochi secondi scenari carichi di mistero e magia appena accennati, ma di forte impatto simbolico. E’ il caso di “The boy who harnessed the wind” (“Il ragazzo che catturò il vento”), film del 2019 diretto e interpretato da Chiwetel Ejiofor, ispirato al memoir di William Kamkwamba, ragazzo tredicenne del Malawi che, basandosi su un libro di scienze, costruì una pala eolica, salvando il suo villaggio dalla carestia. All’inizio e in chiusura del film, la macchina da presa inquadra degli uomini che indossano terrificanti maschere di legno e paglia, ritti su altissimi trampoli, venuti a dare il loro omaggio coreutico in occasione di un funerale.


Questi performatori mascherati, che suscitano un misto di fascino e terrore in chi li osserva, sono membri della Nyau (letteralmente “maschera” o “iniziazione”), una società segreta dei Chewa, ceppo bantu presente in Africa centrale e meridionale, e la loro danza è chiamata Gule Wamkulu (“Grande Danza delle maschere”), ma anche Iathu lalikulu la mizimu (“grande preghiera per i nostri antenati”) o Gulula anamwaliri (“danza degli antenati”). Questa espressiva rappresentazione rituale mette in scena la cosmologia religiosa dei Chewa e dei Nyanga, distribuiti in Malawi, Zambia, Mozambico e Zimbabwe ed è per questo che è stata fortemente contrastata dai missionari cristiani giunti in quelle terre al seguito dei colonizzatori.

Nel 2005 la Gule Wamkulu è stata classificata dall’Unesco uno dei 90 capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’Umanità. Questa danza religiosa racchiude il simbolismo del mondo degli spiriti: le maschere sono il tramite per una comunicazione con il mondo ancestrale, incutono soggezione e paura al punto che, alla vista dei danzatori, donne e bambini (ma anche qualche uomo) scappano dentro casa, performando anch’essi una sorta di terrore rituale. Questo perché durante l’esibizione, i danzatori non vengono percepiti affatto come uomini, ma come spiriti, come una presenza di morte, giunta per commemorare un funerale o una cerimonia solenne, per l’iniziazione alla vita adulta dei maschi (per le ragazze il rituale è il Chinamwali), per un matrimonio o l’insediamento di un capo tribù, per proteggere il villaggio dal male o rendere fruttuoso un raccolto. L’alone di mistero attorno a queste figure si infittisce anche per il fatto che nessuno conosce la vera identità che si cela sotto alle maschere (ricordiamo che i danzatori Nyau appartengono a una società segreta), e riconoscerla o tentare di conoscerla è considerata un’infrazione irrispettosa di un tabù religioso.

La Gulu Wamkulu non ha tuttavia solo la funzione di collegarsi con il mondo degli spiriti. Le maschere, la danza al ritmo di canzoni e suono di tamburi, la mimica offrono agli occhi di chi guarda un vastissimo canovaccio di tradizioni, regole, proverbi e tipologie di umanità con il suo corollario di tratti e vizi anche capitali. In questi giochi di ruolo, le maschere e l’addobbo del corpo prendono la forma di antenati, di animali selvatici (antilope, leone, elefante, serpente, iena), di profonde inclinazioni morali e comportamentali dell’anima (lussuria, avidità, ambizione, vanità) o di caratteristiche fisiche e menomazioni (uomo bianco, stupidità, sterilità, epilessia, alcolismo). Con un repertorio di oltre duemila personaggi, questa danza rituale – affascinante espressione culturale-linguistica di un antico popolo – trasmette importanti insegnamenti morali e sociali. In Malawi, all’interno della missione di Mua, il Kungoni Centre of Culture and Art (http://www.kungoni.org) vanta la più grande collezione al mondo di maschere rituali Gule Wamkulu.

Suggerimenti bibliografici:
- Claude Boucher, Gary J. Morgan, “When Animals Sing and Spirits Dance: Gule Wamkulu: the Greatv Dance of the Chewa People of Malawi”, fotografie di Arjen Van de Merwe, Kungoni Centre of Culture & Art, 2012
- Laurel Birch de Aguilar, “Inscribing the Mask: Nyau Ritual and Performance among the Chewa of central Malawi”, Anthropos Institute and University of Freiburg Press, 1996
- J.W.M. van Breugel, Martin Ott, “Chewa Traditional Religion”, Christian Literature Association in Malawi, 2001

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