Lo sgabello per dibattiti (Kawa Rigit) degli Iatmul

di Cristina Balma-Tivola




Alcuni anni fa, in un programma televisivo, l'attore e comico Neri Marcorè interpretava un improbabile Alberto Angela che, ritrovandosi davanti a oggetti in realtà contemporanei, li ammantava di mistero chiedendosi a cosa servissero, stravolgendone in realtà interpretazione e modalità d'uso.
Ecco: la prima volta che mi sono ritrovata di fronte a questo oggetto, nel mio girovagare per musei delle culture, sono caduta nel medesimo equivoco e ovviamente ho immaginato si trattasse di una sedia. Leggendo la targhetta - che recitava "Sgabello per l'oratore" - mi convinsi della correttezza della mia interpretazione, mentre il mio equivoco prendeva in realtà forma ancora più compiuta.
Per fortuna la mia curiosità mi spinse a leggere tutta la spiegazione relativa...

Il Kawa Rigit degli Iatmul, infatti, non è un trono sul quale l'oratore carismatico di turno siede in bella vista, come a sottolineare la sua autorevolezza e distinzione, ma una sorta di 'tavolino' che lo coadiuva nel suo discorso.
Esso normalmente è posizionato all'interno dell'area centrale e più sacra delle case cerimoniali maschili del popolo Iatmul perché così può presenziare a tutti i dibattiti formali che vi si svolgono. Infatti tutte le questioni significative devono essere discusse in presenza dell'antenato più importante del villaggio, la cui immagine appare sul retro dello sgabello.

Lo sgabello in sé, invece, è un dispositivo retorico, usato per enfatizzare punti importanti durante i dibattiti. Il nome kawa rigit significa "sede delle foglie" perché all'inizio di ogni discorso di ciascun oratore, questo prende un fascio di foglie di zensero e lo colpisce. Successivamente, per enfatizzare ogni punto principale del suo discorso, colpisce di nuovo il sedile o vi posa una parte delle foglie, concludendo poi con un colpo finale.
I dibattiti, va da sé, sono quindi estremamente vivaci, ma, malgrado ciò, di solito si risolvono pacificamente.

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