PSICOLOGIA DEI COLORI #8

(di Alfredo Sgarlato)
Gli avvenimenti politici recenti hanno portato in auge l'arancione, scelto come colore simbolo da un gruppo di improvvisati contestatori, a detta dei detrattori poiché ultimo colore rimasto a disposizione. In effetti l'arancione non è storicamente molto considerato: in varie lingue, tra cui il coreano, non ha neanche un nome proprio.
Del resto l'arancia, frutto che dà il nome al colore, in Europa arriva solo nel Medioevo, per questo vengono definiti rossi i capelli o le pellicce dei gatti quando sarebbero in realtà arancioni. Gli antichi cristiani lo legavano ai peccati di gola, in Oriente è il colore del secondo chakra e dell'ascetismo, infatti è usato nelle vesti dei seguaci di alcuni culti di provenienza indiana; inoltre in Irlanda è il colore simbolo dei protestanti.
Per gli amanti del calcio l'arancione è simbolo della nazionale olandese degli anni '70, gli inventori del calcio totale ("tutti avanti e tutti indietro", si diceva da ragazzini), dal look capellone, unici col permesso di portarsi le fidanzate in ritiro, ingiustamente sconfitti in due finali mondiali. Paradossalmente la maglia era (come per l'Italia) del colore della casa reale e finì per rappresentare i valori opposti. La squadra era detta anche "Arancia meccanica", dal titolo del film di Kubrick, frase gergale che indica qualcosa di assurdo.
L'arancione, che spontaneamente abbiniamo soprattutto ai lavoratori delle autostrade, è molto amato da grafici e pubblicitari, perché vivace come rosso e giallo ma meno aggressivo, spesso in coppia col riflessivo blu.
Nel test di Lüscher la sua scelta indica il desiderio di energia, ma anche la facilità di eccitarsi e di cedere alle provocazioni.
Tamara de Lempicka, Les confidences, 1928, collezione privata

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